Calcio San Giorgio in Bosco | A tu per tu con… DAVIDE BIANCHI
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A tu per tu con… DAVIDE BIANCHI

A tu per tu con… DAVIDE BIANCHI

“A TU PER TU CON…” è un nuovo spazio di approfondimento a 360° con i protagonisti della nostra squadra!
Sogni, ricordi, aneddoti e curiosità per conoscere meglio chi, ogni domenica, ci fa tifare sempre più forte per il CALCIO SAN GIORGIO IN BOSCO!

Questa settimana la “RAFFICA DI DOMANDE” tocca al nostro DAVIDE BIANCHI.

Quando sei nato e dove? Sono nato il 20 aprile 1987 a Cittadella.
Qual è il tuo ruolo? Difensore.
Qual è la partita che ricordi con più affetto e per quale motivo? Sicuramente la partita che ho giocato in Coppa Italia, contro la Lazio allo stadio Olimpico di Roma. È stata una cosa pazzesca: io giocavo nel Portogruaro ed avevamo vinto la Serie C. Le vincenti della Serie C sono ammesse nella Coppa Italia di Serie A e noi ci siamo ritrovati all’Olimpico. È stata fantastico: c’erano all’incirca 40 mila persone e la cosa bella è che lo stadio sembrava vuoto, solo il giorno dopo leggendo i giornali ho appreso quando tifosi ci fossero. Entrare in stadi come questo mette quasi paura. Mi ricordo di Rocchi, Stendardo, Zarate: dividere il campo con giocatori così fa quasi intimorire.
Ed il gol che ricordi con più affetto? Solitamente faccio quei gol un po’ “di rapina”, di testa, da zampata in area. Se te ne devo dire uno, ti direi il gol decisivo della vittoria di campionato a Paceco due anni fa in Eccellenza. Ho segnato su un calcio d’angolo, di testa, facendo il 2-1 e quel gol ci ha permesso di salire in serie D.
Se avessi la possibilità di rigiocare una partita, quale sarebbe e perché? Mi devo ripetere, perché la partita più bella in assoluto è stata quella all’Olimpico di Roma, quindi rigiocherei quella. È stato realizzare il mio sogno: giocare in uno stadio del genere, con il tuo nome sulla maglietta, trovarti in campo con giocatori di Serie A. Questo è quello che sogna ogni bambino quando inizia a giocare a calcio. La rigiocherei miliardi di volte. Tra l’altro, in quella partita, al 45°, nel recupero del primo tempo, mi sono spaccato il malleolo. Quindi, sì, la rigiocherei, magari evitando quell’episodio…(ride).
Come è nata la tua passione per il calcio? Qualcuno in famiglia te l’ha trasmessa? Mio padre aveva una pseudo malattia per il pallone. Ha sempre amato il calcio, ma non è mai stato in grado di giocarlo. La passione l’ha trasmessa a me ed io ho iniziato da piccolissimo a giocare nella mia via, con mio fratello e dei ragazzini che abitavano vicino a noi, tra i quali Nicolò Mazzucato. Con lui, c’eravamo persi per 25 anni e ci siamo ritrovati qui al San Giorgio. Io ho girato parecchio giocando da professionista, quindi ho perso tutto e tutti. Ritrovare il bambino con cui giocavo nella via di casa, 25 anni dopo come compagno di squadra…è stata una bellissima sorpresa. Dicono che il mondo del calcio è piccolissimo: cavoli, è proprio così!
Tuo fratello ha proseguito con il calcio? Io ho fatto le giovanili a Padova ed anche lui, ma appena è stato messo un attimo in disparte, a differenza mia che ho abbassato la testa e ho iniziato a lavorare duro, lui ha detto “Non è per me, grazie e arrivederci!”. Così è passato al calcetto, dove ha raggiunto risultati importanti, giocando anche in serie A.
Quali sono i tuoi primissimi ricordi legati al calcio? Non ho grandissimi ricordi della mia infanzia legati al calcio, ma ricordo che mio padre per insegnarmi ed allenarmi a controllare il pallone, creava percorsi assurdi con tutto quello che trovava. Io dovevo fare lo slalom e passare in mezzo a file di composte da biciclette, skateboard, bidoni e tutto quello che lui mi posizionava davanti a modi “paletti”. Ricordo anche che mi incitava un sacco, ho in mente la sua voce che mi grida “Vai Davide! Bravo!”.
Hai un giocatore a cui ti ispiri o che pensi possa essere un modello? A cui mi ispiro no, ma il mio idolo è sempre stato Baresi, che tra l’altro ho anche avuto il piacere e la fortuna di conoscere, quando faceva l’osservatore. Ho sempre adorato il suo modo di giocare, sembrava non andasse mai in difficoltà.
Hai un soprannome con cui ti chiamano i tuoi compagni? Invece di Bianchi, mi chiamano Bianco, ma non è un vero e proprio soprannome.
Qualche domanda sulla vita di spogliatoio: chi è il più lento tra di voi a farsi la doccia? Il più lento purtroppo è Nicolò Mazzucato. Dico purtroppo perché mi tocca direttamente, dato che facciamo la strada assieme! Mi fa arrivare a casa sempre più tardi (ride)!
Quello invece che ci tiene di più al look e che passa più tempo davanti allo specchio? L’altro mio compagno di viaggio: Bellon. La nostra macchina, infatti, è formata da me, Mazzu e Bellon.
E quello più casinista? Rodato. Più che casinista è l’anima dello spogliatoio, quello che ravviva un po’ tutto.
Tuo padre è orgoglioso di te? Certamente. La mia famiglia non ha potuto seguirmi molto, perché ho girato tanto e sono stato anche distante, ma ora che gioco qui vengono spesso. Il sogno di mio padre era quello di vedere me e mio fratello nella stessa squadra, magari un domani…
Qual è la scelta che rifaresti senza dubbio ed invece quella che non rifaresti della tua carriera? Io ho fatto un salto dalla serie B (ero in scadenza di contratto) alla serie D. Sono tre categorie di differenza, passando da professionista a dilettante. Avevo ricevuto qualche richiesta dalla C2 e l’ho rifiutata. Forse, se tornassi indietro, aspetterei un altro po’ prima di scendere di categoria. Anche se devo dire che sono finito in una società, il Pordenone, che è stata una delle migliori società in cui abbia mai giocato, a livello di serietà e di valori. Il Pordenone Calcio mi è rimasto nel cuore. La scelta che rifarei è quella di andare a giocare a Prato in C2, ero giovane, avevo 17 anni ed è da lì che mi sono proiettato nel calcio professionistico. Questa è stata una delle scelte migliori che ho fatto, perché ha segnato l’inizio di tutto.
Se non avessi giocato a calcio, avresti praticato qualche altro sport? Sicuramente mi sarei tenuto in forma anche se non avessi giocato a calcio, ma non so se avrei praticato altro, anche se mi piace il tennis.
Come ti vedi tra 10 anni e dove? Dato che sono vecchietto spero, tra 10 anni, di essere a casa con la mia famiglia, di avere una moglie e dei bimbi. Non so se mi piacerebbe rimanere nell’ambiente calcistico, so cosa vuol dire fare calcio e so che ti porta via tanto tempo. Preferirei evitare, piuttosto mi piacerebbe andare a vedere qualche partita con la mia famiglia.

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